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Mondiali 2014fuck mondiali

fuck mondiali



Al Forte il calcio lo guardiamo spesso
,
forse troppo.

Cerchiamo di farlo alla nostra maniera: ci divertiamo, lo dissacriamo e ci si cazzeggia molto sopra. Tifiamo Babù, Massimetto Pé Pé, e brussssciamo di passione con molta allegria e con le nostre personali follie.
Siamo folli, forse – questo sì – ma non idioti.
Sappiamo bene, tutte e tutti, che ogni domenica dietro alle nostre squadre e ai nostri strani riti ci sta lo schifo. (...)

 

Un business tra i più infami, interessi di mercato, assurdi esperimenti di controllo sociale, la repressione fatta regola.
Sullo sfondo, il contentino dei “giochi per il popolo”, affinché stia buono e non si lamenti troppo.
Sappiamo con disperazione che c’è chi si odia perché magari è di un’altra squadra. Così come sappiamo che il razzismo, molte volte, striscia sugli spalti degli stadi,
di quelle curve che amiamo chiamare nostre.
Sappiamo che i nostri campioni in mutande guadagneranno in un anno quanto nessuno di noi guadagnerà mai in tutta la vita…
Lo sappiamo, e da pazze e pazzi che siamo, ci passiamo sopra. Per quei 90’ torniamo ingenui e fanciulli. E godiamo come scemi…
Ma quando è troppo, è troppo.
In Brasile, come altre volte prima di questa, si è passati e si continua a passare sulla testa di una popolazione che ( come noi) magari  ama pure il calci
Ma che ha sentito la necessità di ribellarsi. Di chiedere case, scuole,ospedali, strade,  infrastrutture di base, in un paese dove il 21% della popolazione è analfabeta perché non ha accesso all’istruzione primaria. Un popolo che ha sentito il bisogno di pretendere dignità di fronte alle immense cifre spese per questi mondiali,
chiedendo che questi soldi fossero e vengano spesi per altro che maestosi stadi nel bel mezzo del nulla. Chiedendo di non morire per doverli costruire in “tempi record” senza nessuna tutela, norma di sicurezza, rispetto del lavoro e delle emergenze sociali del paese.
Chiedendo vita e futuro.
A tutto questo il governo brasiliano ha risposto con la guerra: le strade bruciano ancora, i picchetti non sono sciolti, gli scioperi continuano.
Tutto questo con, sullo sfondo, il solito grande circo mediatico che già ha preso il via: che denuncia il prato imperfetto del primo campo di gioco della nazionale italiana,
senza raccontare la completa follia di tirare su uno stadio in mezzo all’Amazzonia. Lo spettacolo sta per ricominciare.
Non per noi, non questa volta: non possiamo far finta di niente.
Lo chiedono i milioni di brasiliane e brasiliani in piazza; lo chiede la nostra voglia di giustizia sociale.
Per questa ragione non trasmetteremo i mondiali e per questo il proiettore resterà spento.
Lasceremo acceso il cervello.



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